La Trama
Ci sono cose al mondo che è bene restino morte e sepolte, assieme alle onorate salme dei padri e degli antenati. È bene che restino morte e sepolte anche delle realtà che, strisciando tra le ombre della notte e negli spazi bui della ragione, si adoperano per risalire gli abissi insondabili della mente, fino al culmine della pazzia. E poi c’è chi dedica la propria esistenza nel cercare di contrastare queste realtà.
Persone come lei, Ardora Calissia Steinhart, Alto Comandante del Sacro Ordine dei Dissipatori, una congregazione di dotti guerrieri votati alla ricerca, allo studio e alla neutralizzazione di quelle oscure e ricorrenti calamità che affliggono il mondo.
Come i Flagelli... Come me!
Sì, ho avuto modo di conoscerla tempo fa, proprio lì a Indelven, dove i morti, che sarebbero dovuti rimanere tali, tornarono tra i vivi durante i festeggiamenti a loro dedicati. È stato proprio durante le celebrazioni della Lunga Veglia che le ordite trame di un antico male si rivelarono, blasfeme, alla luce rossa della Luna di Sangue… Nel frattempo, l’eco di assedi e delle congiure di corte giungevano fin nel mezzo della caccia a un mostro... Che altri non era che me.
Ma non ho intenzione di svelare altro dei segreti tanto a lungo taciuti.
No.
La conoscenza si acquisisce anche attraverso la sofferenza, non lo sapevi?
E tu lo farai, oh sì, soffrirai per capire.
Hai la mia parola.
La parola dello Spettro.
L'Autore
Nato a Taranto, terra di acqua e polvere di ferro, nell'Aprile del 1987, in una domenica sotto il segno del Toro; un pesce fuor d'acqua nella Città dei Due Mari. Mi sono impegnato a trovare una identità e il senso della condivisione attraverso l'esperienza universitaria: è stato un disastro. Campione delle cause perse, per nulla amante dei viaggi, ho sempre sognato, invece, dimensioni parallele attraverso le quali rielaboro la realtà per meglio sopportare il mondo in cui, malauguratamente, viviamo. Contraddizioni e coerenza, pregi e difetti: non sono nulla più di qualsiasi altro essere umano, con l’unica differenza di tentare, però, di elevarmi sopra la condizione del “vivere per lavorare”.
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